LA… MIA SHIFTY

I N D I C E
LA MIA SHIFTY

La Shifty l’avevo vista, qualche anno prima di acquistarla, ad un motoraduno a Padova. Era il due novembre del 1979. Ce ne stavamo tutti incuriositi ad ammirare la nuovissima Kawasaki sei cilindri, in vendita da pochi giorni, quando improvvisamente arriva lei. Sembrava quasi un miraggio. Se della Kawa tutti, chi più chi meno, sapevano già tutto, perché sulle riviste del settore se ne era parlato tantissimo, di quest’ultima arrivata quasi nessuno sapeva niente. Io si! “E’ la Shifty. La fa uno di Padova, proprio di qui! La costruiscono a Busa di Vigonza, qua vicino. Ha il motore della 127”. Accidenti! Ero il solo a sapere cos’era quell’ufo! A differenza della rombante sei cilindri, arrivò quasi in silenzio. Il suono delle marmitte era quasi impercettibile. Silenziosissima. Avvicinandosi ancora, quasi a passo d’uomo, notammo la larghezza, non come l’altra, ma consistente, e soprattutto la stazza. Sembrava ben imponente. Quando fu a pochi metri dal capannello di persone assiepate vicino alla 1300, improvvisamente piegò, agile, e invertì la marcia. Come a precedere la frase di quel tipo che stava dicendo: “Chissà che muscoli per muoverla!”. Non si allontanò troppo e, girando rapidamente, ritornò verso di noi. Si fermò davanti a decine di occhi che iniziarono subito a mangiarsela cercando tutti i particolari. “La sella. La sella è quella della Benelli sei cilindri? Sembra quella!”. Finalmente, facendomi spazio tra i centauri assiepati davanti a lei, riuscii, magari spingendo un po’, ad arrivare in prima fila, giusto in tempo per vedere chi stava rispondendo: “Sì, è quella. L’abbiamo presa perché stava bene, era già pronta e così abbiamo contenuto i costi. Ma abbiamo preso anche altre parti dalla produzione di serie. Mica solo il motore!”. Chi stava parlando era un uomo dall’aspetto minuto e con la tipica parlata padovana. Non lo conoscevo; seppi poco dopo che era Ugo Grandis. La prima cosa che pensai fu: “Come può guidarla uno così piccolo?”. Infatti il signor Grandis non era molto alto. Seduto sulla sella appariva ancor più minuto rispetto ad una cavalcatura così imponente. Mi colpì il disinvolto equilibrio che manteneva pur toccando terra solo con un piede, e per di più di punta. “Sì, la sella è proprio alta”, pensai. Fu proprio allora che con la punta della scarpa sinistra abbassò la stampella laterale, inclinò la sua maestosa cavalcatura nera e con una certa agilità scese dal mezzo. Adesso che era in piedi davanti a me potevo effettivamente constatare che non era molto alto. Non credo arrivasse al metro e settanta.

SCIFTY AL RADUNO.JPGAdesso che era sceso intorno alla moto, si erano raggruppate decine di persone. Probabilmente l’altro “esemplare unico” nipponico era stato un po’ messo in disparte dalla nuova arrivata. A Grandis un po’ tutti cominciarono a chiedere notizie della moto, e appena disse che era lui l’ideatore e che quella era la sua creatura personale, anche se può sembrare incredibile, le domande cominciarono a… sommergerlo. Ma lui era tranquillo, ascoltava, rispondeva. Mostrava ogni elemento. Si capiva che quella moto era “la sua”. Spiegava con dovizia di particolari, soffermandosi quasi su ogni singola vite… Io ero sempre lì, vicinissimo a lei. Non vorrei usare un’espressione forte, ma ero proprio ammirato da quel “ferro” che sembrava vivo. Ascoltai ogni cosa, sempre più convinto che quella, prima o poi, sarebbe stata la “mia moto”. Dopo un po’, il più intraprendente chiese se poteva provarla, così, tanto per saggiare tutte le qualità esposte dal costruttore. Grandis acconsentì e più di uno riuscì a farsi un giro sulla Shifty. Io rimasi in disparte, anche se sempre in prima fila. Non dico che sapevo tutto, ma quasi. Le “spiegazioni” le avevo ascoltare quasi in “religioso silenzio”. Non avevo chiesto niente: lo avevano fatto gli altri o Grandis stesso aveva soddisfatto ogni mia curiosità. Mentre guardavo i vari improvvisati tester, mentre gli ero vicino, gli dissi a bassa voce: “Bella. Per me è molto bella. Complimenti. Un’idea geniale”. Lui mi guardò, sorrise e mi chiese se lo stavo prendendo in giro. Mi feci serio e dissi, un po’ imbarazzato ma con fermezza, che la moto, per me, era un capolavoro. Sì, un capolavoro. Evidentemente dalla mia espressione traspariva una vera sincerità verso la sua creazione e così mi domandò se volevo provarla. Gli dissi di no. Ero uno studente squattrinato, con una vecchia Amf Harley Davidson 350 (ma non era più bello il nome Aermacchi?), e per di più non ero mai salito su una grossa moto. Insomma, era meglio di no. Lui non insistette. Poco più in là il proprietario della Kawasaki continuava a tirar su di giri il motore e faceva qualche piccola impennata. Sembrava quasi cercare l’attenzione che gli era stata portata via.

Ecco, quello fu il mio primo incontro con la Shifty 900. Non la rividi più per alcuni anni. Da nessuna parte. Mai. Sembrava sparita. Su Motociclismo risultava in listino, ma notizie su quella strana moto con il motore Fiat non riuscivo a trovarne. A casa avevo le prove di tutte le riviste che l’avevano testata, ma l’oblio era caduto su di lei. Più tardi scoprii che la produzione si era interrotta dopo pochi mesi dall’avvio e che ne erano state costruite solo una settantina di pezzi, molti dei quali venduti in Spagna. Peccato, quel “bestione” mi aveva affascinato e lo ricordavo sempre, ma ormai era… introvabile. Accidenti, adesso che potevo anche permettermi di comprarla, non c’era più!

Nel 1986 trovai un annuncio su Motociclismo di marzo che diceva: “Shifty 900 nuove di fabbrica con immatricolazione L. 5.500.000 oppure come sopra escluso motore Fiat 127 (completa montata) L. 3.100.000. Grandis. – via Bellavitis 10 – Padova – Tel. 049/753390. Grandis! Era lui e ne aveva ancora una, proprio come quella che avevo visto quel giorno e che mi aveva fatto “innamorare”. Chiamai subito, con l’ansia di arrivare tardi. Si sa, in provincia le riviste arrivano più tardi che nelle città. Per fortuna ero il primo a chiamare. Me lo disse tranquillamente. Ci accordammo e qualche giorno dopo ero a Padova, la città dove avevo studiato, per vederla.

Appena mi fu davanti mi fece strano vederlo con quella giacca a quadrettoni che aveva proprio il giorno in cui lo avevo conosciuto. Tra l’altro era anche quella che indossava nella foto che lo ritraeva sul numero di Motociclismo in cui veniva provata la Shifty. Non feci tanti giri di parole. Gli dissi del primo incontro, che lui non ricordava, e di quanto mi piacesse già da allora. Fu a quel punto, guardandomi, che gli ritornò in mente quel breve dialogo intercorso tra noi. “Quello che pensavo mi prendesse in giro? Al motoraduno di Padova? Nel… 1979. Sei quello, vero? Quello che non ha voluto provarla perché non era mai salito su una maxi?”. “Sì!”. Gli feci i complimenti per la memoria, e tra noi ci fu un piacevole scambio di vedute sul suo progetto. Lui parlò molto anche in quell’occasione, non nascondendo le amarezze per l’insuccesso commerciale e per la situazione economica non delle migliori in cui si trovava. Mi disse che quella era la sua moto, quella che aveva prestato per diverse prove, quella che avevo visto proprio quel giorno. Aggiunse che, se avevo visto le prove dei giornali, l’avrei riconosciuta. Magari con le ruote in lega, ma sempre lei. Mi fece vedere, nel box dietro casa anche un’altra moto, questa forse di colore rosso, senza motore. Voleva vendere anche quella e mi chiese se conoscevo qualcuno che potesse acquistarla. Neanche un’ora dopo avevamo concordato tutto: prezzo, data del notaio, giorno in cui sarei passato a ritirarla. Prima di andarmene mi chiese, quasi sorridendo, se adesso volevo provarla. Accettai. Mi fece salire dietro, come passeggero, per mostrarmi l’uso del cambio. Dopo alcuni chilometri, si fermò e me la fece guidare. Una sensazione bellissima. Era fantastica quell’enorme moto! Quando ritornai dove mi stava aspettando, non ebbi che parole di gioia per la Shifty. Mi chiese se avevo guidato altre maxi. Questa volta gli dissi di sì. Sorrise. Si mise al posto di guida e mi fece salire. Quando montai su gravai con il peso sulla pedana e lui perse quasi l’equilibrio e mi chiese, sempre gentilmente, di stare attento a non sbilanciarlo. Aggiunse che la sella era un po’ alta per lui ma che per me andava benissimo.

NOTAIO.JPGCi vedemmo dopo qualche giorno per perfezionare la compravendita da un notaio. Quando poi passai a ritirarla era quasi dispiaciuto di privarsene ed era anche rammaricato che stava quasi per piovere. “Adesso si bagnerà tutta” disse guardando lei… Volevo aggiungere che avevo fatto più di duecento chilometri per venire a prenderla, che di acqua in moto ne avevo presa tanta e… e che avevo portato la tuta da pioggia, ma non lo feci. “Se si bagnerà la asciugherò appena arrivato a casa”. Mi guardò come rasserenato per poi salutarmi. Lungo la strada cadde qualche goccia, ma poca cosa. Ad ogni fermata, però, notavo lo sguardo di tanti, sorpresi da quello strano mezzo. La stessa cosa accadde per gli anni successivi, in ogni qual dove la portassi. E, incredibilmente, succede ancor oggi!

Dopo alcuni mesi lo chiamai per un dubbio che mi frullava in testa. Mi aveva detto che questa moto era quella che aveva usato per varie prove e che era proprio quella che avevo visto a Padova nel 1979, ma, dal libretto, risultava, sì, intestata a lui ma immatricolata nel 1982. Nel 1979, come faceva ad essere già… in circolazione? Fu un po’ evasivo, come a voler nascondere qualcosa e mi fece uno strano discorso di targhe-prova con cui circolava la moto prima dell’immatricolazione vera e propria. Non mi convinse del tutto, ma in fondo la cosa non aveva troppa importanza.

Io e Grandis non ci saremmo più rivisti.

Lo risentii alcuni anni dopo telefonicamente per avere delle informazioni per l’aggiunta di un sidecar. Anche questa volta fu prodigo di consigli e volle sapere un po’ di tutto sulla “mia-sua Shifty”. Concordammo che mi avrebbe preparato tutte le carte in suo possesso relative ad un altro esemplare che era stato immatricolato con il sidecar a Verona. Proprio un Longhi, come volevo io! Mi disse che sarebbe venuto lui a portarmele perché così avrebbe colto l’occasione per andare a Rivolto a vedere le Frecce Tricolori. Concordammo anche una cifra per l’incombenza e ci demmo appuntamento dopo un mesetto, il tempo di preparare il tutto. Il mese passò e anche altri ne seguirono. Dopo alcuni mesi provai a ricontattarlo, ma il suo numero telefonico era stato dismesso. La Telecom (o si chiamava Sip?) non seppe darmi ulteriori informazioni. Mi ripromisi di fare una corsa a Padova per rintracciarlo, ma, non so neanch’io per quale motivo, non lo feci più. E mi dispiaccio ancora per non averlo fatto. Anni fa seppi che era venuto a mancare. Ho ancora l’amaro in bocca per non averlo rivisto e per non avergli potuto mostrare il “suo gioiellino” ancora in perfetta forma nonostante gli anni. Ma questo, anche ora che ha passato i trenta e rientra tra le moto storiche a pieno titolo – ne sono sicuro – lui lo sa. Da quel meraviglioso mondo dove tutti sono felici, ogni tanto, fa “una corsa” a vederla… proprio in sella ad un’altra delle sue due ruote con il motore Fiat.

I N D I C E
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Gli ultimi “bolli” intestati a Grandis e i primi pagati da me.

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